martedì 2 febbraio 2010

PROGETTARE IL PAESE: “BIODIVERSITA’, CRESCITA, SOSTENIBILITA’: QUALE MODELLO DI SVILUPPO DI RIFERIMENTO PER il SINDACATO”

Negli ultimi dieci anni, ma il fenomeno è iniziato molto prima, abbiamo assistito in maniera crescente a fenomeni di enorme portata quali: cambiamenti climatici, crisi globale finanziaria e dell’economia, crescita dei fenomeni di impoverimento dei lavoratori salariati (siano essi regolari o operanti nel sommerso), migrazioni di massa, in generale dal sud del mondo verso le nazioni più ricche, conflitti locali per il controllo delle risorse o per motivi religiosi o culturali.

Riteniamo che questi fenomeni derivino principalmente da un modello economico che ormai si è imposto prepotentemente come riferimento imprescindibile nella sfera politica, culturale e sociale di tutti i paesi del mondo. Un modello economico con cui un sindacato confederale deve fare i conti e che è tenuto a valutare con spirito critico.
A nostro avviso il concetto fondamentale di questo modello è il concetto di Sviluppo, nel senso di crescita della produzione.

E’ necessario mettere in discussione il modo di produrre la ricchezza e il modo in cui questa deve essere distribuita. Perché molti di questi fenomeni negativi derivano da un’ingiusta distribuzione della stessa.

Vogliamo impegnare la nostra organizzazione a discutere di alcuni argomenti: tutti fattori che coinvolgono la vita di ogni essere umano.

1)Risorse ed energia: non sono infinite, al contrario alcune di queste grandezze (acqua e terra, e la stessa biodiversità) sono già ampiamente sovrasfruttate: l'energia solare è più che abbondante (e la si può considerare infinita su tempi di scala storica), ma sottosfruttata. Il combustibili fossili sono sicuramente limitati, anche se non è certo quando giungeremo al loro esaurimento.
2)Questione climatica: la produzione di gas serra sta mettendo a rischio l'equilibrio ecologico della biosfera e con questo l'esistenza della stessa società umana. Non esiste artificio tecnologico che permetta di invertire la tendenza, ma l'unica strada è la riduzione drastica delle emissioni e quindi dei consumi di fonti di energia fossile e dei metodi di produzione che emettono gas climalteranti.
Immaginare un taglio dall’oggi al domani, sarebbe però impensabile. E’ molto più opportuno immaginare il processo come una transizione da un economia vorace di energia ricavata da fonti fossili, a un’economia che necessita di meno energia e comunque ricavata da fonti rinnovabili.
3)Metodi di produzione "di mercato" e "tradizionali": tra profitto e giustizia sociale. Il primo passo per affrontare questo tema è analizzare agricoltura, industria e trasporti, I metodi imposti dal mercato (in particolare grandi multinazionali, ma non solo) sono altamente dipendenti da un massiccio input di energia (fertilizzanti, carburanti, energia elettrica ecc.). Questo fenomeno si verifica in tutte le fasi della produzione e nella logistica. La produzione di rifiuti è essa stessa fonte di spreco energetico e di inquinamento. Al principio di questa catena vi è il settore alimentare, nel quale l'imposizione di specifiche varietà di sementi (non solo OGM) e della monocultura estensiva più che aumentare la produttività aumenta la dipendenza dei contadini dall'industria dei fertilizzanti e dei pesticidi, conducendoli a lungo andare alla perdita della indipendenza economica, all'indebitamento e spesso causando disastri sociali che sono alla base di molte crisi alimentari nel sud del mondo e di flussi migratori massicci. Questo perchè l'agricoltura industriale eradica necessariamente i metodi tradizionali di coltivazione, che a conti fatti rendono molto di più per ettaro e con minore utilizzo di energia (in forma diretta e sotto forma di prodotti chimici).
La stessa delocalizzazione industriale verso paesi emergenti e le migrazioni massicce si alimentano di questo fenomeno, paragonabile a quanto descritto per la rivoluzione industriale inglese del XIX secolo, fa leva cioè sull’espropriazione dei mezzi di sostentamento, di un ruolo e una comunità di riferimento cui sono soggetti milioni di contadini del sud del mondo, per procurarsi manodopera disposta a lavorare in condizioni massacranti e con salari miseri, in patria o tramite un’emigrazione disperata verso paesi che sembrano offrire una prospettiva migliore.
4)Ruolo degli organismi internazionali (FMI, WTO, ONU): tali metodi di produzione agricola industriale sono supportati pesantemente da WTO e FMI, anche in aperto contrasto con protocolli internazionali di protezione della biosfera patrocinati dall'ONU e con enormi ingerenze nella politica interna degli stati meno propensi ad adeguarsi.

Per questi motivi riteniamo sia necessario promuovere una serie di revisioni del nostro sistema produttivo, che invece di ridurre i posti di lavoro potrebbe al contrario crearne numerosi sia nel nostro paese che nei paesi del sud del mondo, e al contempo migliorare la qualità della vita dell'uomo. La crescita illimitata e continua non è possibile e parlare di "sviluppo sostenibile" in quest'ottica si tratta in realtà di una contraddizione in termini. E' necessario insomma cambiare atteggiamento mentale, prospettiva economica e alcune categorie di analisi (sviluppo, PIL, produzione, mercato) fino ad oggi considerate dogmi imprescindibili. Alcune misure da sostenere potrebbero essere:

a)Rinuncia progressiva dell'agricoltura industriale (e rifiuto categorico delle sementi OGM, che hanno l'unico vantaggio di rendere dei profitti a chi le commercia): divieto della brevettabilità di forme di vita o di parti di esse, anche se in presenza di combinazioni particolari e ottenute in laboratorio.
b)Introduzione dell’agricoltura integrata (c.d. "permacoltura"), con agevolazioni per le unità di produzione medio-piccole e che garantiscano una conservazione della biodiversità e la tutela del suolo.
c)Riduzione del ciclo degli alimenti e delle merci alla filiera "corta" fin dove possibile.
d)Adeguamento della rete infrastrutturale per garantire la mobilità a breve raggio, con basso consumo di combustibili fossili, sia per le persone sia per le merci, tralasciando antieconomici, devastanti e inutili progetti di trasporto come la TAV.
e)Implementazione di un piano di risparmio energetico (la migliore tonnellata di CO2 è quella mai prodotta) e transizione verso la microgenerazione energetica (è più adatta alla diffusione rapida delle energie rinnovabili, non necessita di costose infrastrutture e limita drasticamente la dispersione energetica legata alle distanze di trasporto dell'energia). Rinuncia all'uso dell'energia nucleare (una centrale nucleare nell'arco della sua vita consuma più energia di quella che produce, senza nemmeno prendere in considerazione lo smaltimento delle scorie).
g)Progressivo recupero alla collettività (commons, proprietà pubblica, ecc.) di risorse e settori di servizi: acqua, trasporti collettivi, sanità, istruzione e ricerca...

Questi sono solo alcune esempi di cosa si potrebbe mettere in pratica per dirigersi verso un’altra economia. Crediamo che immaginare il ruolo di un sindacato confederale nello scenario descritto sia non solo esercizio utile, ma necessario per affrontare la fase storica ed economica in cui siamo già entrati.

Oltre a un netto miglioramento della qualità della vita, a un probabile aumento dei posti di lavoro (metodi di produzione meno intensivi nell'uso di energia/meccanizzazione sono spesso più intensivi nell'uso della forza lavoro), tali misure tendono a rendere giustizia alle popolazioni che fino ad ora si sono sobbarcate in termini di fame, impoverimento e miseria sociale dei costi dello stile di vita di cui i paesi più "avanzati", hanno finora potuto godere. L'inversione di questa tendenza e una maggiore equita' nella distribuzione delle risorse significa dirigersi verso una soluzione complessiva dei disagi sociali su scala globale. Significa restituire diritti a coloro cui sono stati tolti. Significa rendere possibile e credibile lo sforzo di preservare la biodiversita’ che sta alla base della nostra esistenza come esseri viventi.

16° congresso: Assemblee FLC-CGIL e seggi elettorali dell'Università

COn lo spoglio di questo pomeriggio si è conclusa la prima fase congressuale della CGIL.

Il documento "I diritti e il lavoro oltre la crisi" (Epifani) ha ottenuto il 96,15% dei voti, mentre la mozione "La CGIL che vogliamo" (Moccia) ha ottenuto il 3,85%.

Risultano eletti a delegati al congresso provinciale (tutti per la mozione con primo firmatario Epifani):

Tullia Catalan
Matteo Slataper
Federica Moretto
Luca Bortolussi
Marco Chiandoni
Sergio Zilli
Sefano Beltrame

Le assemblee hanno approvato all'unanimità un emendamento al documento con primo firmatario Epifani dal titolo "Progetto paese: biodiversità, crescita, sostenibilita'"