giovedì 29 ottobre 2009

Il Consiglio dei Ministri approva il DDL di riforma dell’Università

>> Il testo del DDL discusso dal Consiglio dei Ministri <<

Il DDL di riforma dell’Università approvato oggi dal Consiglio dei Ministri è un provvedimento articolato e complesso, nato dopo una lunga gestazione che ha visto innumerevoli stesure e ripensamenti. Il testo approvato dal Consiglio dei Ministri non è ancora disponibile; rispetto all’ultima bozza nota sono possibili piccole differenze, ma non dovrebbe contenere scostamenti significativi. Si può perciò considerare un testo largamente consolidato.

Il provvedimento affronta molte materie e contiene tre Titoli:

  1. Organizzazione del sistema universitario.
  2. Delega legislativa in materia di qualità ed efficienza del sistema universitario.
  3. Norme in materia di personale accademico e riordino della disciplina concernente il reclutamento.

Il Titolo I norma essenzialmente l’organizzazione degli Atenei, dettando criteri ai quali le Università devono attenersi nella modifica dei propri Statuti, da realizzarsi entro sei mesi. I criteri sono immediatamente prescrittivi, e questa parte del DDL si presenta quindi sotto forma di norma operativa piuttosto che di DDL. Il testo non è molto diverso dalle bozze circolate nei mesi scorsi, e valgono quindi le osservazioni da noi a suo tempo prodotte in corso d’opera e pubblicate sul sito.

In estrema sintesi, si propone per gli Atenei un modello organizzativo fortemente centralistico e gerarchico, che marginalizza gli organi elettivi per condensare il potere negli organi di vertice. E’ un’operazione scopertamente autoritaria che corrisponde alla vocazione aziendalistica dell’attuale Governo; è, oltretutto, una netta invasione di campo nei confronti dell’autonomia universitaria, poiché le norme dettate lasciano pochissimo spazio all’autodeterminazione degli Atenei, e puntano ad un modello rigidamente omogeneo.

Il Titolo II contiene la delega al Governo a riordinare una quantità di materie tra cui l’istituzione di un Fondo per il merito gestito direttamente dal Ministero dell’Economia al di fuori dei canali del diritto allo studio, le stesse norme sul diritto allo studio, i meccanismi di contabilità prevedendo il commissariamento degli Atenei in caso di dissesto (e rigidi controlli di spesa che si spingono fino a determinare il tetto della contrattazione integrativa d’Ateneo), i meccanismi premiali nell’attribuzione dei finanziamenti, la disciplina dell’orario docente (pari a 1500 ore di impegno complessivo annuo), la valutazione periodica ai fini dell’attribuzione degli scatti economici, la rimodulazione dei trattamenti economici dei docenti (prevedendo per cominciare che gli scatti biennali diventano triennali), ecc. Per le materie che riguardano direttamente il personale, ovviamente, non è prevista alcuna forma di contrattazione.

Il Titolo III definisce la riduzione dei Settori scientifico-disciplinari (su cui il CUN sta lavorando da lungo tempo), l’istituzione dell’abilitazione scientifica nazionale come pre-requisito per i concorsi e gli avanzamenti di carriera, nuove norme sul reclutamento basate su concorsi interamente locali dei singoli Atenei, nuove discipline per gli assegni di ricerca, per i contratti di insegnamento, per i ricercatori. Il modello non accoglie nessuna delle proposte che in questi anni sono state avanzate nel dibattito sull’Università. In particolare, non solo non c’è il riconoscimento dei ricercatori come terza fascia docente, ma si accelera l’applicazione della messa ad esaurimento. Da oggi non saranno più possibili assunzioni di ricercatori a tempo indeterminato; la terza fascia diventa solo un canale di reclutamento a tempo determinato. Gli attuali ricercatori avranno, prevedibilmente, scarsissime probabilità di uscire dal recinto della terza fascia, vista la scarsità di risorse, ed il fatto che i futuri associati proverranno direttamente dal ruolo di ricercatore a tempo determinato. Non c’è alcuna risposta ai temi del precariato che, anzi, vede la propria condizione sempre più instabile e soggetta a ricatto, né per figure come i lettori che attendono da decenni una risposta alla loro condizione.

Quanto poi a merito e trasparenza, siamo pronti a scommettere sul fatto che i concorsi interamente locali incrementeranno il tasso di opacità delle selezioni, dando spazio alle contrattazioni tra poteri interni, tanto più in un modello gerarchico come quello proposto.

Come al solito, non c’è stata l’ombra di un confronto in questi lunghi mesi, se si eccettuano le conversazioni private che la Ministra ha svolto con interlocutori scelti e che accredita come “periodi di concertazione con tutto il sistema universitario” (ipse dixit). L’intero decreto appare pervaso dalla logica della riduzione dei costi, dalla necessità di tagliare, in coerenza con la L. 133, e da una meticolosa messa sotto sorveglianza del sistema universitario da parte dei Ministeri, in particolare quello dell’Economia.

In conclusione, un testo attraversato da una palese volontà punitiva, dal centralismo, dalla riduzione dell’autonomia, dalla visione di Università-azienda; un’altra occasione persa, che accelera lo stato di disordine e difficoltà del sistema, e aggiunge un altro tassello al disegno di riduzione delle opportunità dei cittadini e degli studenti.

Contro questo provvedimento è indispensabile rilanciare un’ampia mobilitazione che costringa il Governo a ritirare i tagli, investire nell’Università e ad aprire un confronto vero sulle autentiche necessità del sistema universitario.

Roma, 28 ottobre 2009

martedì 6 ottobre 2009

E' morto Gino Giugni, padre dello statuto dei lavoratori

Dal sito della FLC-CGIL nazionale

Il 20 maggio del 1970 il Parlamento approva la Legge n. 300 dal titolo "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme su collocamento" che passerà alla storia semplicemente come "Lo Statuto dei Lavoratori".

Dopo la morte di Brodolini, avvenuta a Zurigo l'11 luglio del 1969, toccò a Gino Giugni, presidente dell'apposita commissione istituita dal defunto ministro, completare e portare a termine una legge che a tutt'oggi è considerata la pietra miliare dei diritti sindacali dei lavoratori nei luoghi di lavoro.

Non v'è dubbio che lo Statuto dei Lavoratori ha rappresentato una prima concreta attuazione in tema di lavoro della Carta Costituzionale in quanto segna il passaggio da un regime assolutista ad un regime statutario ed è certamente il frutto della mobilitazione e delle lotte operaie dei precedenti anni ed in particolare dell'autunno caldo del 1969.

Finalmente prevale il diritto e il rispetto della dignità e della libertà umana nei luoghi di lavoro, mentre il potere direttivo e disciplinare dell'imprenditore è ricondotto nel suo giusto alveo ossia "in una stretta finalizzazione allo svolgimento dell'attività produttiva".

Sarebbe però riduttivo pensare che lo Statuto dei Lavoratori nasca solo come effetto diretto delle lotte operaie del '68-'69; la sua gestazione culturale, politica e legislativa viene da molto lontano.

Già negli anni Cinquanta Giuseppe Di Vittorio aveva lanciato la proposta di "portare la Costituzione all'interno dei luoghi di lavoro" sostenendo che i diritti civili e politici fondamentali garantiti dalla Costituzione repubblicana non potevano fermarsi ai cancelli delle fabbriche.

Tra la fine degli anni Cinquanta e nel corso degli anni Sessanta, con la ripresa delle lotte sindacali unitarie e con la nascita dei governi di centrosinistra, si affermò l'idea di una legge che garantisse l'esercizio dei diritti costituzionali nei luoghi di lavoro.

Erano gli anni delle prime leggi sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, sugli appalti, sui contratti a termine, sul divieto d'intermediazione di mano d'opera, sulle pensioni. Nel 1966 per la prima volta, con la legge n. 604, venne stabilito il principio della giusta causa e del giustificato motivo per i licenziamenti e quello contestuale del reintegro nel posto di lavoro nel caso di licenziamento ingiustificato e privo di motivazione. Rimanevano però i problemi delle libertà sindacali, dei diritti sindacali, politici e civili dei lavoratori.

Fu Giacomo Brodolini, una volta diventato ministro, a pensare e lavorare su una legge organica, un legge quadro che rappresentasse la carta costituzionale di chi lavora.

Le lotte studentesche del '68 e quelle operaie del '69 accelerarono questo processo che appunto culminerà con la promulgazione de "Lo Statuto dei Lavoratori" aprendo così un capitolo nuovo nel panorama dell'affermazione dei diritti sindacali, politici e civili nei luoghi di lavoro.

Di questo processo se Brodolini fu l'ispiratore Giugni fu l'artefice. La legge non solo raccoglieva e consolidava molte delle conquiste e delle recenti lotte contrattuali e dava a esse un'organica sistemazione, ma rendeva possibile nei luoghi lavoro con più di quindici dipendenti l'affermazione di momenti significativi di sindacalizzazione.

A quasi quaranta anni dalla sua nascita non possiamo non esprimere un giudizio positivo su Lo Statuto dei Lavoratori soprattutto perché non si è fermato solo nelle fabbriche ma è entrato in tutti i luoghi di lavoro, pubblici e privati. E' entrato negli uffici, si è affermato nelle scuole, nelle università, nei servizi e così via non senza difficoltà. E ancora attraverso l'applicazione dello Statuto è emersa, nel corso degli anni, una giurisprudenza anche costituzionale e di legittimità attenta ai fondamentali diritti del lavoratore in tema di dignità, libertà e parità di trattamento coerente ai principi costituzionali.

Ma la strada per una universale affermazione dei diritti sindacali in ogni luogo di lavoro è ancora lunga e irta di pericoli. In questi ultimi anni non sono mancati attacchi all'articolo 18 dello Statuto come pure non è stata sanata la questione relativa all'applicazione della Legge 300/70 alle aziende con meno di quindici dipendenti. Un nodo questo che non può essere sottaciuto proprio per via delle caratteristiche peculiari che ha assunto, in questi ultimi anni, il nostro sistema produttivo. I processi di forte terziarizzazione dell'economia hanno imposto di fatto la presenza massiccia di unità produttive al di sotto del fatidico numero dei dipendenti. E' giunta l'ora che a queste lavoratrici e a questi lavoratori venga data piena cittadinanza e che pertanto si applichi la tutela reale e non solo quella legale. Come pure è giunta l'ora di spezzare alle radici le piaghe del lavoro nero, del lavoro sottopagato e del lavoro irregolare.

Ma questa è un'altra storia!

A nome dei lavoratori e delle lavoratrici della conoscenza diciamo un grande grazie a Gino e a tutti coloro che direttamente o indirettamente hanno contribuito con le loro lotte, le loro idee, le loro azioni, la loro conoscenza a dar vita a questa pietra miliare della legislazione del lavoro nel nostro Paese.

Sarà compito nostro e delle future generazioni difendere, rafforzare e implementare questa grande conquista del movimento sindacale che si chiama semplicemente Statuto dei Lavoratori.

Roma, 5 ottobre 2009